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Ad ali aperte nella notte, lo scatto di Lorenzo Shoubridge vola a Londra foto

La storia dei due esemplari è diventata un manifesto per la tutela della biodiversità

Con le ali ben aperte e la proboscide attorcigliata, a un primo sguardo sembrano quasi essersi messe in posa. Sembrano affrontare la notte, e quindi per loro la vita, a “petto” in fuori, pronte a guardare in faccia il destino che le attende.
In realtà le due falene, quella notte sulle Alpi Apuane, erano alla ricerca di nettare. Le sorelle notturne delle farfalle, simbolo di cattivi presagi nella cultura occidentale ma animali mistici per i nativi americani, probabilmente non si erano nemmeno rese conto della presenza, in quel frangente, di Lorenzo Shoubridge, fotografo naturalista della Versilia, che in un secondo le inquadra e le immortala in uno scatto straordinario che ha fatto il giro del mondo.
Gli organizzatori del Wildlife Photographer of the Year, il concorso del Natural History Museum di Londra giunto alla 54esima edizione, le ribattezzano “Migrant megamoths”, falene giganti migranti. Prima della chiusura ufficiale per il Covid-19, i due esemplari erano visibili al museo di storia naturale di South Kensington. La loro storia racchiusa nello scatto fotografico di Shoubridge è diventata un’opera simbolo della vita nella natura, un manifesto in difesa della biodiversità. È stato il versiliese a fotografarle e a – come si legge nella descrizione dello scatto formulata dagli organizzatori del concorso: “immaginarle contro il cielo stellato e il profilo delle Alpi Apuane, una regione ricca di fauna selvatica ma che cambia rapidamente con l’estrazione su larga scala distruttiva del marmo”.

“Questa è stata una delle ultime foto che ho scattato sulle Alpi Apuane mentre lavoravo al libro “Apuane terre selvagge”. È uno scatto fatto di notte, mentre le falene si nutrono su dei fiori con il calice lungo, tipo saponarie. Ho frequentato quella zona in particolare per 15 giorni e, alla fine, ho fatto questa fotografia”.
Sei stato fortunato?
“Non credo che esista la fortuna. Se non avessi fatto quella foto non l’avrei inserita nel libro, ma l’anno successivo sarei tornato per riprendere quel passaggio, quella migrazione delle falene tra i fiori”.
È una foto talmente incredibile che le falene sembrano quasi essersi messe in posa
“Succede perché le falene volano come colibrì e quando arrivano di fronte al fiore restano sospese per aria. Grazie ad un paio di accorgimenti ho potuto fotografarle vicino alla strada senza calpestare i fiori, che non bisogna farlo. Poi per vedere dove andavano ho usato dei filtri sulla mia torcia frontale, altrimenti essendo attratte dalla luce mi sarebbero venute tutte in testa. Diciamo che quella notte andavo un po’ alla cieca”.
Ti sei adattato alla loro presenza, insomma.
“Sì, è quello che dovrebbe fare un fotograto naturalista, si deve adattare al soggetto, che sia un fiore o un animale. Sennò per fare una foto della natura che dovrebbe servire a sensibilizzare l’opinione pubblica si danneggia il soggetto stesso. In questo lavoro bisogna entrare come ospiti, non con la presunzione di fare belle foto senza senso”.
C’è una certa etica alla base del tuo lavoro?
“Ci sarebbe, purtroppo anche questo genere di fotografia è alla soglia dell’estinzione perché è diventata una moda e quindi un business. Prima organizzavo corsi di fotografia, ora lo faccio solo per aziende che non fanno della “foto a tutti i costi” il loro mantra. Oggi si può pagare per fotografare un’acquila reale, si possono fare viaggi e scatti attraverso i capanni. Ma frequentando queste strutture si perde in termini di conoscenza e alla fine i fotografi non imparano il rispetto della natura”.
In questa foto le falene trasmettono forza e fragilità allo stesso tempo. Sembra che dicano: prendo quel che viene di petto e con le ali ben distese.
“Nella recensione del concorso viene sottolineata la contrapposizione tra la natura che sopravvive anche ai margini delle cave di marmo, e il pericolo che corre costantemente. Quei fiori anche se non sono una specie a rischio sono in prossimità di zone nelle quali un uomo può decidere di scavare, e così scava. Sulle Apuane stiamo rischiando di perdere molti endemismi di flora proprio a causa della presenza di siti estrattivi”.
La biodiversità agli occhi dei portatori di grandi interessi sembra una cosa piccola, dimenticabile.
“Eppure basterebbe pensare che mentre la natura trova sempre il suo equilibro, l’uomo, nonostante si senta la specie dominante, non può farlo. A causa dell’antroponcentrismo crediamo di vivere fuori dalla natura, ma sotto la cementificazione la natura resta e vive. E il verificarsi di un terremoto poi ci fa pagare le conseguenze della nostra distrazione. Con l’escavazione delle cave per esempio distruggiamo le falde acquifere. Un giorno forse riusciremo a dire che il nostro è un patrimonio dell’Unesco, riusciremo a promuoverlo attraverso un turismo sostenibile e potremo anche far vedere qualcosa della nostra vera bellezza. Perché la storia delle cave è bella, ma è una storia medioevale. E con i tempi che corrono ci stiamo sempre più rendendo conto che l’estrazione del marmo indiscriminata non ha più senso, come un’altra serie di cose che ci hanno portato al Coronavirus e ad altre schifezze che affliggono questo nostro tempo. Il rapporto uomo-natura è consolidato dalla notte dei tempi. Fare una cosa come quella che si fa sulle Alpi Apuane, alla luce del giorno, è assurdo”.
Avresti mai pensato di esporre al Natural History Museum di Londra?
“Un concorso non deve mai essere l’obiettivo, deve essere uno strumento per confrontare il proprio livello con quello degli altri. Per me serve da curriculum. Però essere stato lì è una gratificazione enorme. Considera che è un concorso tipo oscar della fotografia naturalistica. Economicamente parlando è stata tutta pubblicità per il mio libro. Personalmente ha significato raccontare oltre confine le Alpi Apuane sotto un’altra luce”.